Camilla Cianfanelli ha trascorso l’estate in Guatemala, è stata una volontaria preziosa che ha messo…
Vorrei raccontarvi….
Vorrei raccontarti un po’ di me, di quello che ero e che ora sono. Perché di questo si tratta: a volte durante la vita di un essere umano ci sono alcuni momenti che segnano la fine di un capitolo e l’inizio di uno nuovo, alcune situazioni che, inevitabilmente, cambiano il tuo modo di essere. Non c’è una spiegazione razionale, scientifica; accade così, ed è bello proprio perché sembra quasi un evento magico, che non ha una base razionale. Molti lo chiamano evoluzionismo, io non voglio nominarlo, se non ha un nome rimane qualcosa di astratto, libero, emozionante. Voglio emozionarvi.
A me è capitato. Proprio a me. Mi sono evoluta.
Ho scoperto molto di me durante il viaggio nella Repubblica Democratica del Congo, a vent’anni ero convinta di aver capito chi fossi, ma in realtà non avevo capito tutto, non proprio.
Mi spiego. Prima però vorrei condividere con voi una frase di Gandhi: “ Nell’uomo la ragione stimola e indirizza la sensibilità, nel bruto l’anima è sempre addormentata. Risvegliare il cuore vuol dire risvegliare l’anima addormentata”. Io ho risvegliato il mio cuore nel villaggio di Kanyaka e di conseguenza la mia anima addormentata ha terminato il suo lungo e inconsapevole sogno.
Lontano dalla mia società ho incontrato me stessa. Mi ero persa, senza nemmeno accorgermene, quasi per caso, mi ero allontanata dal mio essere, da me.
Tra le capanne di fango e paglia, tra le urla dei bambini che ti inseguono, l’odore della legna bruciata, la terra negli occhi, il rumore del coltello che le donne impugnano per sbucciare la manioca, le risate di una donna con in braccio la sua bambina; una parola sola: “ eccomi”, mi sono detta. Proprio in quel preciso istante, è bastato un attimo, mi sono ritrovata. E’ bastato poco.
Capita di perdersi in qualche parte di mondo, quando per esempio si osserva un tramonto, un paesaggio, l’infinito del mare, io mi sono persa nei sorrisi delle donne di Mataba. E sento che sono ancora lì ad osservarli. Tutti i giorni.
Ho un sapore nuovo in bocca. Dolce. Nel cuore invece ho tanta vita.
Voglio scrivere solo poche parole, a voi lascio la scelta di immaginare questi racconti, che tengo gelosamente dentro alla mia anima ritrovata.
Momenti incredibili si sono susseguiti in questi venti giorni a Lubumbashi, storie di un popolo lontano da noi, ma per molti aspetti molto vicino. Filosofia di vivere molto diversa, ma è bello conoscere la diversità. E’ stato incredibile lavorare con questa gente, non è stato un messaggio univoco, non ho solo dato, ho ricevuto tanto in cambio, piccole lezioni di vita che ti insegnano ad apprezzare la semplicità di una giornata, che ti fanno vivere con poco, ma sai, in fondo, che quel poco ti basta.
Non si tratta di avere compassione per le persone che vivono nella povertà, nella miseria, in paesi del terzo mondo; non vediamo solo questo aspetto. Sarebbe un grande, madornale errore. Ampliamo solo per un istante gli orizzonti, non poniamoci nella situazione di essere noi quelli gli aiutanti; consideriamo invece un messaggio biunivoco perché, a dir la verità, in molte occasioni ho capito che sono stati proprio loro ad aiutare me. Io ho trovato, per esempio, la voglia di lavorare, di fare, di concentrare le energie per quelle splendide persone, per quelle immense donne, per quei bambini che vivono e ridono per ogni cosa, per quegli uomini che caricano su una vecchia bicicletta mal funzionante sacchi di carbone e che per ogni metro fatto è una speranza in più. Si tratta di alzarsi in piedi, di avere più di un pensiero, più di una frase spesa, ora, adesso, facciamo di più. Lavoriamo.
La mia esperienza in Africa non è stata beneficienza, non solo; ho aperto gli occhi e mi sono trovata in una realtà difficile, per certi aspetti lascia la rabbia e un senso di frustrazione, vedere così tanta povertà e confrontarla con quello che abbiamo qui brucia, brucia dentro. Scorrevano davanti a me scene drammatiche: bambini che raccolgono l’acqua dalle fogne, pancini gonfi e mosche sugli occhi, donne sieropositive, non è un documentario, mi sono detta, è “la realtà”, io la sto guardando e la sto vivendo. Guardiamola insieme, attraverso le foto, attraverso le parole dei volontari, attraverso i racconti. Ora vi svelo un segreto; sapete cosa mi hanno insegnato queste persone? A sentire dentro di me il dovere di fare di più. Anche se le parole sono generalmente meno forti dell’azione, sono pronta a spendere fiumi di lettere, perché serve anche questo, serve capire, serve prendere coscienza e consapevolezza di quello che c’è al di fuori delle mura delle nostre case. Non lasciamo che siano solo belle frasi, cerchiamo di migliorare anche i posti dove non viviamo. Perché in fondo, in fondo, nel più profondo della nostra anima ci sentiamo fortunati ad essere nati in parti di mondo migliori. Io ho ritrovato la mia anima, la vostra dove si trova?
Beatrice.
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