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Una promessa lunga otto anni

Fabrizietto è un bambino vispo e sorridente che avevo conosciuto quando ero stato in Congo come volontario nel 2012.

Allora aveva otto anni, le mani sempre sporche di terra e una passione sconfinata per il pallone da calcio che portavo con me nelle visite tra i villaggi. Parlava a stento francese e comunicavamo con quel linguaggio che fa degli occhi la voce universale.

Frequentava da poco la scuola di AMKA a Kanyaka e quando ci salutammo, sporchi di polvere rossa dopo l’ultima partita a calcio nel campetto sgangherato del villaggio, mi promise che avrebbe continuato a studiare.

Non capiva bene a cosa servisse tutto quel leggere e ascoltare ma in fondo si divertiva coi compagni e le compagne del villaggio, e poi era sempre meglio di farsi i 20 km a piedi per andare a vendere il carbone fatto in casa al mercato della città assieme al babbo. Avrebbe continuato, promesso.

Qualche giorno fa sono tornato a Kanyaka e me lo sono ritrovato davanti, Fabrizio.

Alle prime non l’ho riconosciuto, senza le sbavature di terra sulla faccia e coi vestiti puliti che sembravano quelli della domenica. Mi ha guardato per svariati secondi, in silenzio, finché finalmente sono scoppiato in un riso di ricordo. Ci siamo raccontati gli ultimi otto anni, in francese, scherzando sulle volontarie che aveva fatto innamorare da piccolino e su quanto fosse diventato grande.

“Che fai ora?” “Tra poco inizio il penultimo anno di liceo a Lubumbashi, una scuola bella”

“E poi, sai già che farai?” “Si, voglio iscrivermi all’università e studiare informatica. Mi piace un sacco. Poi vorrei lavorare e anche viaggiare”.

Per un attimo le pupille mi si sono fatte chiare, perse nel ricordo del bambino che avevo conosciuto, sporco e vispo, diventato oggi un adolescente pieno di sogni.

L’ho guardato con calma negli occhi e ci ho visto dentro il senso profondo di tante cose: del cambiamento che richiede tempo, del seme che diventa qualcosa di nuovo e diverso, del lavoro paziente per creare strade sconosciute dove è difficile anche solo immaginarle.

Soprattutto, ci ho visto il senso di una promessa mantenuta, una promessa lasciata cadere senza troppa consapevolezza e divenuta poi il punto di partenza per un orizzonte nuovo.

Domani riapriranno le scuole, anche a Kanyaka, e decine di bambini come Fabrizio potranno sedersi tra i banchi per leggere nella lavagna un futuro diverso da quello scritto negli occhi dei genitori. Qui, la scuola, con tutti i limiti e le mancanze, è davvero l’unica porta verso un domani in cui essere capaci di prendere decisioni e non doverle subire. Fabrizio, con le sue pupille divenute larghe e la voglia di viaggiare, ne è la prova.

Ci siamo salutati con una foto e la promessa di vederci ancora. Dovrà raccontarmi di come andranno gli studi e della vita in città. Gli ho proposto qualche tiro al pallone in memoria dei vecchi tempi, mi ha detto con gentilezza di no. Ormai è grande e ha i vestiti che non vorrebbe sporcare. Avrebbe continuato ad aiutare la mamma a vendere i bignè affianco alla strada, aspettando che arrivi lunedì per iniziare il nuovo anno tra i banchi. Ho sorriso e capito.

Fabrizio non è più Fabrizietto e in queste poche lettere cadute ci ho letto la storia di una promessa lunga otto anni.

Ora non so se davvero riuscirà a realizzare il suo sogno di viaggiare, non so se potrà terminare gli studi all’università, non so se lavorerà come informatico.

Quello che so è che anche solo la possibilità di accarezzare questo sogno rappresenta un traguardo raggiunto nel cammino verso un orizzonte in cui sentirsi libero.

Sono felice di essere stato insieme ad AMKA un piccolo indice che ne indicava la direzione.


Guglielmo Rapino

Volontario di AMKA

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