Giulia è una giovane e appassionata nutrizionista. Conosce molto bene il tema della malnutrizione, ha…
Una giornata alla scuola di Kaniaka
La cultura dei giovani abbonda ormai di stimoli, colori, suoni, immagini, troppe a volte.
Così è più facile dare per scontato, fare i duri, trascurare le cose più semplici, che hanno sfumature meno brillanti ma non necessariamente meno importanti.
In Congo sono costretta a ripensarci. Entrare nellʼaula della scuola di Kaniaka dove si sta svolgendo la pre-scuola mi fa rivalutare lʼentusiasmo della generazione più giovane, in un contesto sociale, economico e linguistico completamente diverso dal mio. Mi accolgono una trentina di facce con occhi spalancati e curiosi. Alcuni più piccoli hanno paura dei “muzungu” (“bianco” in Swahili) e si nascondono dietro i compagni, anche se la maggior parte delle volte vince la curiosità.
Al primo impatto, però, lʼentusiasmo non è la prima cosa che mi colpisce e, mentre cerco con occhi altrettanto spalancati di capire quello che vedo intorno a me per la prima volta, il cervello va a mille. Sono in una piccola aula un poʼ buia che avrebbe bisogno di una bidella per fare delle pulizie, con i banchi in legno dove i bambini spesso stanno in 4 o 5, una lavagna vecchia che non si pulisce facilmente con lezioni passate che si intravedono dietro quella attuale. Sulle pareti ci sono lettere dellʼalfabeto e numeri.
E poi i bimbi, alcuni piccolissimi sulla schiena delle sorelle più grandi, alcuni in età prescolare che non riescono a tener bene la matita, altri più grandi che parlano già un poʼ di francese e hanno sfruttato lʼaccompagnare i fratelli piccoli per stare in aula anche loro.
Qui non siamo in una scuola italiana. Qui vedo bambini vestiti con indumenti sporchi, spesso strappati o troppo grandi o troppo piccoli, con il nasino bisognoso di qualche fazzoletto, corpicini pieni di terra rossa, piedi nudi o scarpe vecchie tradiscono dita malconce, risultato di giochi e partite di calcio sulla terra rocciosa, polverosa e quasi mai asfaltata.
Laddove la pulizia manca, però, subentrano la voglia, lʼentusiasmo, sorrisi, risate. Giro tra i banchi, osservo e aiuto i bambini con lʼattività del momento, una scheda di pre-grafismo. I bambini devono colorare un albero stando dentro le righe, un lavoro abbastanza facile per i nostri che sin da piccoli sono abituati ad usare matite, penne e colori. Qui impazziscono per le matite colorate, scelgono con cura ogni colore e lo custodiscono. Non ci sono litigi, nessuno ruba le cose altrui. I bimbi finiscono le schede previste per la giornata e tutti fuori a giocare. Iniziamo a scattare delle foto e quando i bimbi vedono le macchine fotografiche si mettono subito in posa. Chiedono sempre di vedere le foto: “Tone!” dicono, “Vedere!”
Allora giri la macchina per mostragli le loro facce sorridenti e parte il coro “Foto! Foto!” Per loro non bastano mai.
E davvero non bastano mai. Ne scatterei 100,000 cercando di catturare ciò che sto vivendo e provando, quello che vedo intorno a me mentre mi si aggrappano 10 bambini alla volta, ridiamo e giochiamo. Cʼè innocenza e allegria pura, a volte difficile da vedere nei nostri bambini. Da insegnante gioisco dellʼamore per la scuola, per lʼimparare, per le attività semplici che questi piccoli trovano interessanti e stimolanti nonostante la condizione ardua in cui si trovano. Vorrei portare un poʼ di questʼentusiasmo a casa e trasmetterlo a chi non ce lʼha.
LIZ
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