Skip to content
06 6476 0188 amka@assoamka.org DONA ORA

Resistere

Mucha gente pequeña en lugares pequeños, haciendo cosas pequeñas pueden cambiar el mundo”, la frase di Galeano dipinta con vernice arancione che spicca sulla parete bianca di Casa Amka, nel villaggio di Nuevo Horizonte in Guatemala, e che di solito guardavo distrattamente, oggi mi appare incredibilmente attuale, quasi profetica.

Sono quattordici giorni esatti che molte di queste “persone piccole”, tra cui gente comune, studenti, lavoratori e commercianti, hanno dato inizio a quello che ora è un vero e proprio vulcano in eruzione. Dal 2 ottobre il paese è nel caos, scosso da proteste, cortei e manifestazioni organizzati in tutto il paese da piccoli e medi gruppi, sfociati nel giro di poco tempo in blocchi completi delle strade, con accampamenti e sit-in nelle principali autostrade, che impediscono il regolare svolgimento dei trasporti e delle attività commerciali.

Ma qual è il motivo? I protestanti chiedono le dimissioni della procuratrice generale Consuelo Porras, accusata di aver pianificato un colpo di stato per impedire l’insediamento del presidente eletto Bernardo Arévalo de León. Le elezioni presidenziali si sono tenute una prima volta il 25 luglio di quest’anno, in cui Arevalo, del Movimiento Semilla, progressista, ha ottenuto un pareggio con l’antagonista Sandra Torres, del partito di centro UNE (Unidad Nacional de la Esperanza), uno dei più grandi partiti del Guatemala. Al secondo ballottaggio, il 20 agosto, Arevalo ha vinto le elezioni con il 58% dei voti.

Si presuppone, quindi, che a gennaio 2024 il vincitore Arevalo succederà al presidente uscente Alejandro Giammattei. Niente più che un normale cambio di governo, come lo si potrebbe vedere dall’esterno. Eppure, negli ultimi mesi, Porras, insieme a Rafael Curruchiche, capo della Procura speciale contro l’impunità (FECI), e al giudice Fredy Orellana, ha condotto diverse azioni legali contro Arévalo e il suo gruppo politico, accusandolo di manovre illegali all’interno del Movimento e di aver dunque boicottato le elezioni stesse.

Il popolo non ce la fa più, dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo cambiare le cose per impedire che la corruzione in questo paese continui ad essere la norma”. Dalle parole di Judith sento tutta la rabbia dei manifestanti, ma la sua voce è più decisa e lucida di quella di altre persone che ho intervistato durante i primi giorni di proteste.

Judith abita a Nuevo Horizonte ed è uno dei membri più attivi della Cooperativa, ha 40 anni, piccola e robusta ma piena di energie, un caschetto di capelli corti e neri le incornicia il viso tondo. Da quando sono qui, ormai la riconosco per due caratteristiche: il suo immancabile sorriso e l’onnipresente fazzoletto colorato che porta legato al collo.

Judith odia le ingiustizie. È una delle prime cose che mi ha detto di lei quando ci siamo conosciute, mentre mi raccontava di come nel 2021 ha sfidato un colosso aziendale dell’olio di palma, l’industria Chiquibul, che l’ha più volte minacciata di morte. Ovviamente, è stata la prima qui a Nuevo Horizonte a prendere in mano la situazione non appena le proteste sono cominciate, organizzandosi ogni mattina per montare un sit-in a Santa Ana, un paesino qui vicino. Tutto è filato liscio per cinque giorni, finché la manifestazione che sembrava quasi una festa è sfociata nella violenza: degli uomini, apparentemente trasportatori ma che sono stati poi identificati come membri dell’equipe governativa, hanno interrotto la protesta pacifica, spostando sedie, tavoli e gazebi con la forza. I presenti, tra cui la stessa Judith, non hanno opposto resistenza, sicuri che qualsiasi reazione avrebbe potuto peggiorare le cose. Eppure, l’accaduto non li ha demoralizzati:

Ce lo aspettavamo perché nei giorni precedenti ci erano arrivate delle voci e molti di quelli che ci stavano aiutando hanno cominciato a tirarsi indietro senza nessuna spiegazione. Dopo che gli uomini se ne sono andati, lasciandoci nel caos, sono andata subito a denunciare il fatto alla polizia. Abbiamo tutto il diritto di manifestare in maniera pacifica e non dobbiamo farci spaventare. Era sicuramente gente mandata dal governatore per intimidirci, una sorta di avvertimento. Sai che ti dico? Adesso ho ancora più voglia di protestare, domani io e le compagne di Santa Ana ci riuniremo per riorganizzare un nuovo sit-in”.

Gli occhi piccoli e scuri di Judith si illuminano mentre pronuncia queste parole. Mentre io in questa situazione vedo solo incertezza, pericolo e confusione, lei è sicura di sé, coraggiosa e tenace. Le dico di stare attenta ma lei mi sorride, conosce la situazione del suo paese meglio di me, sa cosa bisogna fare quando lottare diventa necessario. Il suo telefono squilla in continuazione: i compagni la chiamano per dirle che dovrebbe rimanere a casa, addirittura alcuni le propongono di ospitarla in Messico, lontana da qualsiasi pericolo, ma lei risponde a tutti la stessa cosa: “Rimango qui”.

A casa Amka, mi ritrovo a guardare di nuovo quella frase sul muro, riflettendo sulla forza di persone come Judith. Chissà se anche noi in Italia, di fronte ad un palese colpo di stato, avremmo avuto la stessa determinazione di questo popolo che da quattordici giorni sta mostrando il proprio dissenso senza battere ciglio. Forse ho scelto di venire in Guatemala in un momento molto particolare, che potrebbe passare alla storia come una piccola rivoluzione. Nessuno sa come andrà a finire, ma per ora, come direbbe Judith, hay que aguantar, bisogna resistere.

Valeria Todaro

Questo articolo ha 0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna su
Cerca