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Storie dal Guatemala: la crisi dei poveri raccontata da Dona Elma
El Chal, Santa Ana municipio, Peten, Guatemala. Don Raul mi accompagna a visitare alcune famiglie in serissime difficoltà. Il microbus ci lascia di fronte ad una strada sterrata. La imbocchiamo. Il caldo ti divora le membra,
ma il verde della giungla che si scorge in lontananza ti aiuta a sopportarlo. Arriviamo ad un piccolo cancello. Ci aspetta una casa fatta con quattro tavole di legno e il sorriso di Doña Elma.
Raul mi presenta, dice che sono un compañero italiano che vive ad Horizonte e che appoggia il progetto di scuola
popolare della comunità. Lei va prendere due sedie dal vicino e ci prepara due bicchieri di fresco di orzata. Le condizioni in cui vive sono proibitive. Non possiede nulla, la sua casa è piccola, non ha terra e la crisi, che più che
crisi economica si tratta di una crisi di sistema, ha definitivamente compromesso la vita dei poveri guatemaltechi. Doña Elma è una donna concreta (non potrebbe essere diversamente, data la sua storia personale) ci presenta
degli esempi concreti: due anni fa il gallone di olio di mais costava 35 quetzales, oggi 62; la libra di riso costava 2,5, adesso 6; una busta di sapone stava a 15, ora costa 25 quetzales. Ed io come faccio? Mangio di meno. Mangiare di meno per Doña Elma significa praticamente non mangiare. Ma qui non si tratta della solita storia della povertà, della sfortuna e del bisogno. Il Guatemala, e il Peten in particolare, è una terra ricca. Madre natura è stata generosa, la selva dispensa con generosità dolcissimi regali, la terra produce e la densità di popolazione è assolutamente sotto
la media. Ci sarebbe terra per tutti, ma come in ogni altro angolo del pianeta, c’è molta terra per pochi e qualche metro quadro per tutti gli altri. Doña Elma ha cresciuto i suoi 5 figli da sola. Nel 1982 suo marito stava lavorando in un campo di mais, è arrivato l’esercito, se l’è caricato su una camionetta e da quel giorno non se n’è saputo più nulla. Uno dei tanti desaparecidos che concimano campi di fagioli in centramerica. Dal 1996 (anno degli accordi di pace tra esercito e guerriglia) lei aspetta dallo stato il risarcimento che le spetta. Dice di aver consegnato tutta la documentazione ma che non riesce ormai da tempo a mettersi in contatto con l’ufficio competente. Suo marito, mi racconta più tardi Raul (Raul è stato tenente specializzato in comunicazione e ha combattuto con i guerriglieri), non aveva nulla a che fare con la guerriglia. Negli anni ’80 la politica del governo era semplice. Uccidere chiunque fosse soltanto sospettato di dare supporto al movimento rivoluzionario. Questo per indurre la popolazione dei villaggi a
denunciare qualunque guerrigliero e a non sostenere il movimento per non perdere la propria vita. Ma il marito di Doña Elma stava soltanto guadagnandosi, è il caso di dirlo, il suo pane quotidiano. Le chiedo come ha fatto a tirar su 5 figli da sola. Mi risponde lottando e con tanta pazienza. E via con risate fragorose. Tre dei suoi figli adesso lavorano e
le danno una mano. Il lavoro che sono costretti a fare rattrista quanto il racconto dell’assassinio del marito. Cercano un terreno di qualche padrone, le chiedono il permesso di lavorarlo per 3 mesi (tempo di produzione del mais), il padrone gli fa il favore di concederglielo ma in cambio esige lavoro volontario. Al termine del raccolto (la fatica è tanta e il mais si vende a poco) i 3 devono lavorare la terra del padrone, gratuitamente, piantando pasto per i capi di bestiame del signore. Sembra l’età del feudalesimo. E’ il Guatemala del 2009. Un paese affascinante come pochi, con
gente ospitale, con campi di mais che rallegrano la vista, con piramidi maya nascoste dalla giugla e colpito da un sistema economico che ormai, qui come in Italia, fa acqua da tutte le parti.
Alessandro Di Battista