Camilla Cianfanelli ha trascorso l’estate in Guatemala, è stata una volontaria preziosa che ha messo…
Pace, non solo un sogno grande, ma lo strumento per il futuro.
In occasione della giornata mondiale della pace una linea di speranza e uno strumento per cambiare.
Noi abbiamo solo due scelte:
coesistere in modo pacifico o arrivare a distruggere noi stessi
Martin Luther King
“L’odio, che contorce le membra e rende ogni uomo l’ombra di sé, è quanto di meno auspicabile ci sia al mondo. Per questo ti amo!”. Ve la immaginate una poesia così? In effetti suonerebbe un po’ anomala.
Quale poeta o scrittore per parlare dell’amore parlerebbe dell’odio, per riuscire a far cogliere il valore e l’intensità di questo nobile sentimento bisognerebbe del termine di paragone negativo che gli si oppone? Nessuno credo, si riesce perfettamente ad esprimere in sé la pienezza dell’emozione positiva che questo sentimento porta con sé, ecco perché in fondo parlare d’amore non è così difficile e perché, sebbene nessuno di noi sia un grande poeta probabilmente ciascuno, al momento giusto, ha trovato le parole per esprimere il proprio moto d’animo.
Parlare di pace, invece, non è mai troppo semplice o banale, perché in questo tempo pare non si possa proprio affrontare questo tema senza parlare di guerra, come se la pace non fosse altro che l’assenza della guerra. Ragionando sulla giornata internazionale della pace, in occasione delle quale mi trovo a scrivere, mi si sono affollate nella mente le mille immagini e gli articoli, i video, con cui quotidianamente i media ci bombardano, fino al punto da renderci insensibili, come non fossero altro che immagini o parole vuote, non ci indignamo neanche più per l’ultimo bambino soldato caduto lungo la strada o per il soldato suo nemico steso al suo fianco. Così ho osservato dall’esterno quanto, in un discorso sulla pace, in fondo vi sia uno sbilanciamento tra lo spazio dedicato a descrivere gli orrori e i mali della guerra, rispetto a quelli atti a descrivere l’auspicabilità della pace.
Questa riflessione mi ha sconcertata e mi sono chiesta quando esattamente abbiamo iniziato ad assimilare lo “stato di pace” a quello di “tregua” dalla guerra e da cosa ha origine questa prassi.
La risposta temo sia in un dato, freddo e oggettivo come solo i numeri a volte sanno essere, ma che nella sua crudezza rende esattamente il senso della maturata conoscenza dei conflitti e dell’ignoranza diffusa relative alle risoluzioni pacifiche. Nel mondo attualmente si stima siano circa 59 gli Stati coinvolti in conflitti (24 dei quali in Africa) e la storia contemporanea ci presenta l’inquietante attitudine, diffusa recentemente, di pensare alla guerra come strumento di pace. Come voler spegnere un incendio con la benzina.
In controtendenza con questa cultura della guerra nel tempo, però, esempi virtuosi si sono avvicendati. Un esempio è il poeta, pedagogo e pacifista maiorchino Lorenzo Vidal che nel 1964 istituì la Giornata Scolastica della Non-violenza e della Pace, in occasione dell’anniversario della morte del Mahatma Gandhi, allo scopo di porre le basi per una educazione pacificatrice e non-violenta a carattere permanente. L’educazione alla pace, in effetti, è sicuramente una strategia efficace per controvertire questa tendenza, riportando il focus delle nuove generazioni sul territorio costruttivo dei diritti umani come priorità e fondamento sulla base dei quali rifondare le società che, in virtù della caratteristica eterogeneità culturali, presentano un livello di complessità esponenzialmente superiore al passato.
Malgrado attualmente non sia prevista all’interno dei programmi didattici dei primi gradi di scuola in Italia, l’educazione alla pace è già di fatto arrivata tra i banchi da diversi anni, grazie alle attività extracurricolari, spesso sotto la spinta delle amministrazioni locali.
La presa di coscienza del “bisogno di pace” ha, quindi, radici lontane ed è sempre in agenda, non solo per le realtà che come AMKA operano in zone che sono state e sono ancora territori di guerra, ma prima di tutto per molti capi di Stato e in effetti l’istituzione della Giornata che oggi ricorre rappresenta una risposta, la cui caratteristica principale è l’invito a cessare il fuoco per l’intera giornata.
In conclusione, l’utilità di queste ricorrenze è connessa non tanto al promemoria, che resterebbe fine a se stesso, quanto al risveglio delle coscienze cui seguano azioni concrete nella quotidianità di ciascuno. In fondo agire la pace è fondamentalmente un habitus da incarnare, cui educare ed educarci.
L’arma migliore a nostra disposizione è la diffusione della cultura della pace attraverso ogni mezzo culturale in nostro possesso, per questo ho scelto di chiudere con le parole di un uomo che per la pace, o meglio contro la guerra, ha scritto molte “lettere”: Tiziano Terzani.
“è il momento di uscire allo scoperto, è il momento di impegnarsi per i valori in cui si crede.
Una civiltà si rafforza con la sua determinazione morale molto più che con le armi.
Soprattutto dobbiamo fermarci, prenderci tempo per riflettere, per stare in silenzio. Spesso ci sentiamo angosciati dalla vita che facciamo, come l’uomo che scappa impaurito dalla sua ombra e dal rimbombo dei suoi passi. Più corre, più vede la sua ombra stargli dietro; più corre, più il rumore dei suoi passi si fa forte e lo turba, finchè non si ferma e si siede all’ombra di un albero.
Facciamo lo stesso.
Visti dal punto di vista del futuro, questi sono ancora i giorni in cui è possibile fare qualcosa. Facciamola.”
Gabriella Fiore
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