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La maledizione delle risorse

Abbiamo intervistato Federica Vairo, volontaria di AMKA ed esperta di storia del Congo. Buona lettura!

Federica, puoi raccontarci come è nato l’amore che ti unisce al Congo?

Non mi è così semplice ritrovare “la radice del primo amore” come direbbe Dante. Forse il primo guizzo di curiosità si fece strada già alle scuole medie, quando più volte mi ritrovai, distratta, a fantasticare su quella cartina del Contente africano appesa al muro, dove leggevo di località dai nomi quasi impronunciabili e di altre che curiosamente, invece, portavano nomi di persona: erano il lago Vittoria, il Lago Alberto, Lago Edoardo. Inconsapevolmente avevo posato per la prima volta gli occhi sulla regione del Grandi Laghi Africani. Negli anni successivi quasi senza accorgermene inizia a sentire parlare di Congo, vuoi per la lettura obbligata di “Cuore di tenebra” ordinata dall’insegnante (illuminata) di lettere, vuoi per l’amicizia con persone originarie del Paese. Ma se questi sono stati piccoli semi gettati forse troppo presto perché potessero attecchire, il vero amore è sicuramente arrivato con gli studi universitari, specie quelli della magistrale, quando unendo gli strumenti acquisiti nei corsi di laurea al mio interesse un po’ nerd per la tecnologia, ho scoperto la provenienza e le implicazioni delle estrazioni minerarie all’origine della produzione di qualsiasi dispositivo high-tech. A quel punto il Congo ha fatto breccia: prima la curiosità, poi l’interesse vero, poi ancora la tesi e alla fine non mi ha mai lasciata.

Che effetto ti ha fatto visitare il Katanga per la prima volta come volontaria di AMKA?

Partivo con tante aspettative, una marea di conoscenza teorica e i racconti di chi in quelle terre ci è nato e cresciuto, ma anche una moltitudine di interrogativi, di sfide per me, di certezze che si sarebbero potute sbriciolare e crollare in un secondo. Questo viaggio sarebbe stato uno spartiacque in un momento bello e particolare della mia vita. Mi sono sentita in famiglia, come quando non si torna a casa da tanto tempo, ma subito si riconoscono visi, spazi, abitudini. Ho ritrovato ovunque quello che cerco da sempre nella mia vita: l’umanità, la voglia di vivere e condividere, l’attenzione alla persona più che alle sue mille etichette. Ho riconosciuto e sono stata travolta da quel che in Italia avevo solo intravisto, come dietro un sottile tendaggio. Ho condiviso, fosse un piatto di bukari, lengalenga e pesce o un pezzo di storia vivente che anche dal più lontano passato sopravvive forte fino ad oggi. Sono stata chiamata “dada” e “mama” da persone che conoscevo da poco o non conoscevo ancora. Un potpourri difficile da spiegare a parole, ma quando ne respiri il profumo non puoi più farne a meno.

Puoi raccontarci come mai un luogo tanto ricco di risorse sia al contempo uno dei luoghi più poveri del mondo?

Il grande potenziale di risorse naturali che detiene il Congo, ha condizionato le evoluzioni storiche del Paese e dell’intera regione dei Grandi Laghi e, invece di favorire lo sviluppo economico del Paese, ne ha determinato la complessa relazione tra fattori politici ed economici a livello sia nazionale che internazionale per il controllo dei siti di estrazione e il saccheggio delle risorse, in collegamento con il capillare sistema di commercio illegale. È il paradosso noto come la “maledizione dei minerali”: lo “scandalo geologico” e l’incredibile abbondanza di ricchezze custodita nei territori dell’Africa centrale sono divenuti una vera e propria dannazione per il popolo congolese. Considerate da molti studiosi il motore in grado di predisporre le motivazioni e le opportunità per l’avvio dei violenti conflitti interni e internazionali, le risorse naturali sono spesso causa degli stessi effetti negativi che determinano la debolezza delle istituzioni e sollevato importanti ostacoli che impediscono l’avvio di un sicuro sviluppo economico del territorio. Secondo la cosiddetta “maledizione delle risorse”, infatti, l’abbondanza di ricchezze naturali è strettamente correlata con il basso sviluppo economico e sociale, favorendo l’espansione della corruzione su tutti i livelli, il consolidamento del potere delle élites e l’emergere degli stessi conflitti armati.

Essere bambino in Congo, oggi, cosa significa? Quali sono i rischi e le difficoltà che incontrano i più piccoli? 

Occorre sicuramente fare dei distinguo in merito alle differenti possibilità di accesso alla salute, all’istruzione, all’attività lavorativa e, soprattutto, varia a seconda dei territori. La Repubblica Democratica del Congo è uno Stato immenso e non tutte le regioni sono uguali. In alcune di queste certamente la situazione è drammatica. Penso in particolare alle regioni orientali che da oltre vent’anni sono interessate da conflitti e micro-conflitti che mischiano le violenze di innumerevoli gruppi armati con lo sfruttamento minerario e questioni economiche globali. In queste aree generazioni di bambini sono nate e cresciute nella violenza, senza prospettive di miglioramento del proprio status sociale o economico, costretti al lavoro di miniera oppure sedotti dal potere che l’ingresso nelle fila dei gruppi armati offre loro. Il sistema sanitario è nullo, quello educativo è stato smantellato da decenni. La prospettiva di vita spesso è molto bassa: violenza diffusa, incidenti nei luoghi di estrazione, esposizione ad agenti chimici o radioattivi, possibilità di contrarre malattie endemiche o legate alla malnutrizione. L’elenco è tristemente lungo. Quelle sono certamente le aree più problematiche, ma, sebbene non manchino le difficoltà, non tutto il Paese versa in una simile situazione.

Tu, oggettivamente, credi che il Congo possa rinascere? Se si, in che modo?

Questa, forse, è la domanda delle domande. Non credo che il Congo debba “rinascere”, credo piuttosto debba poter valorizzare e gestire il proprio potenziale, sia umano che economico. Certamente è – e sarà sempre – pressante l’interesse che le potenze economiche mondiali nutrono nei confronti di un simile bacino di ricchezza. Al momento il Paese sta attraversando una fase politica interessante sotto tanti punti di vista e si trova alle prese con uno dei più grandi processi ad esponenti politici, in grado di creare un potenziale precedente a livello continentale e di scuotere fortemente la tenuta del governo. Le agitazioni nelle regioni orientali del Paese, così come nel resto della regione dei Grandi Laghi, non potranno certamente cessare fino a quando non verranno realmente meno le condizioni di insicurezza che permettono ai signori della guerra di esercitare la loro smisurata influenza, prospettiva che ad oggi appare ancora molto lontana. Occorre, per altro, anche considerare l’importanza di un equilibrio regionale precario e fragile, che decide le sorti dei Paesi più piccoli, come di quelli dalle dimensioni considerevoli. E poi l’industria mondiale, i giochi che si muovono nello scacchiere internazionale, le politiche ambientali del mondo occidentale, la direzione della governance internazionale e la tracciabilità dei minerali. Il panorama è estremamente complesso ed in continuo divenire. Le parole di Lumumba e il sogno di un Congo libero riecheggiano ancora a sessant’anni dall’indipendenza: rimangono un augurio potente, ma la strada è certamente tortuosa e impervia.

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