Sofia Salardi è una volontaria di AMKA, impegnata dal 2021 nei progetti di supporto alle…
In Congo cambia il colore delle divise, ma il rumore delle pallottole e il colore del sangue sono sempre gli stessi
Le ultime notizie pubblicate sullo spazio news di AMKA sono chiarificatrici. In Congo sangue e mancanza di chiarezza continuano a camminare mano nella mano.
Proviamo noi a fare chiarezza. Lo scorso 23 gennaio viene reso noto l’arresto di Nkunda che la stampa (le parole sono importanti) definisce Generale dissidente. Nkunda imperversa da anni nelle foreste del Kivu seminando morte e terrore ma soprattutto generando confusione. La confusione a volte è un’arma più potente dei kalashnikov. La confusione ovviamente non permette a nessuno di avere idee chiare, la mancanza di idee chiare blocca ogni intervento e fino a che non si interviene ognuno fa quello che vuole. Traduzione: le risorse incredibilmente ricche del Nord Kivu vengono gestite da chiunque abbia voce grossa e un’arma in mano. In acque torbide si pesca meglio!
Ma torniamo a Nkunda. La soddisfazione per il suo arresto è condivisa da tutti. Nkunda è un assassino punto e basta. Però è un assassino al quale è stato permesso dal Ruanda di compiere i suoi crimini. E’ stato finanziato, appoggiato e armato dal Ruanda. Poi il Ruanda subisce forti pressioni dall’alto (per alto intendiamo soprattutto Svezia e Olanda) e abbandona Nkunda, anzi, fa molto di più, si “allea” con il Congo, storico nemico, e con un’operazione congiunta dei due Paesi l’ex-generale dissidente viene assicurato alla giustizia. Anche per quanto riguarda l’estradizione tutto sembra procedere per il meglio. Nkunda è attualmente detenuto in Ruanda ma con ogni probabilità verrà estradato in Congo, e, crediamo, giustiziato prima che gli sia concessa la possibilità di parlare e raccontare qualche fatto. Tutto bene quindi. Apparentemente. Il Ruanda pare abbia ceduto alle pressioni della Comunità Internazionale, ma nulla si concede per nulla. Cosa ha ottenuto in cambio? In Congo vivono esuli ruandesi, appartenenti all’etnia hutu, fuggiti o scacciati dopo il genocidio del 1994. Ora la stampa internazionale li chiama ribelli (le parole sono importanti). Prima era il solo governo ruandese a chiamarli in tal modo, adesso lo fanno un pò tutti. E’ comprovato che tra gli hutu esuli in Congo vi siano ancora uomini che si sono macchiati di crimini efferati (per la cronaca, non per giustificare, lo hanno fatto un pò tutti), tuttavia è anche evidente che dopo 15 anni tra di loro vivano donne, uomini e bambini che non sanno neppure cosa sia stato il genocidio del 1994. Bene, adesso, alle truppe del Ruanda è stato concesso ufficialmente (lo facevano anche prima) di compiere operazioni militari in Congo. E’ come se il governo Italiano permettesse all’esercito spagnolo di sparare in Italia per stanare terroristi dell’ETA. Ma c’è di più, l’esercito regolare congolese, con le fila ingrossate dagli ex-comattenti del Congrès National pour la Défense du Peuple (Cndp), l’organizzazione di Nkunda, collabora nelle operazioni.
Il 28 gennaio, con una celerità mai vista, la missione ONU in Congo (Monuc) dichiara che sosterrà con supporto logistico le operazioni militari di Ruanda e Congo che hanno come obiettivo il disarmo/distruzione del braccio armato degli hutu (Fdlr) e il rimpatrio forzato (“teoricamente” è contro il diritto internazionale) dei “ribelli” in Ruanda.
Il 20 febbraio anche l’Unione Europea si dichiara entusiasta per questo nuovo clima di collaborazione tra gli ex-nemici Congo e Ruanda e ne incoraggia il rafforzamento della cooperazione per il bene di tutti. Tutti tranne i “ribelli” hutu ai quali viene invitato dall’UE di disarmare immediatamente e di fare ritorno in Ruanda. Inoltre l’UE dichiara fondamentale la “lotta contro le impunità”, unica chiave per una riconciliazione totale. Il problema è che il governo ruandese si occuperà di lottare contro quelle impunità che chiaramente gli faranno comodo, e la stessa cosa farà il Congo con Nkunda e i quadri del Cndp.
Intanto in Nord Kivu si continua a combattere, la popolazione non ne può più. Le divise cambiano colore, gli accordi tra eserciti e gruppi militari si rinnovano continuamente, solo il rumore delle pallottole e il colore del sangue restano sempre gli stessi.
E’ molto strano che un paese sovrappopolato come il Ruanda insista con tale forza per il rimpatrio degli hutu.
Gli hutu in Congo rappresentano attualmente la maggior minaccia per il mantenimento del potere da parte dei tutsi. Il loro numero cresce e nessuno sa cosa potranno fare, o magari non fare, tra dieci anni. Prevenire è meglio che curare, in politica internazionale questa sembra ormai divenuto un dogma assoluto. Tuttavia si previene sempre con le armi rendendo chiaramente anche la cura necessaria.
Nel frattempo il braccio armato degli hutu “ribelli” non sta fermo e combatte. Loro sono soldati, si sanno muovere e conoscono le foreste come le loro tasche. Come sostiene il documento di “allerta”, promulgato dalla Rete Pace per il Congo, sono le popolazioni hutu, e le popolazioni congolesi che vivono nelle zone del fronte, a subire le maggiori perdite tra operazioni militari e rappresaglie. E’ la popolazione hutu ad essere costretta a fare ritorno in Ruanda lasciando i piccoli orti, quattro galline o due maiali, ovvero tutta la loro ricchezza.
In Congo, tutto sommato, non è cambiato poi nulla. Gli elefanti cambiano espressione e si coalizzano con alleati che prima consideravano feccia, tuttavia, quando combattono, è l’erba che continua a restare schiacciata.
AMKA invita a una soluzione esclusivamente politica per la risoluzione dei conflitti in Nord Kivu, ritenendo nessuno, civili a parte, vittima o carnefice più di altri.
Alessandro Di Battista
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