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Il matrimonio congolese
Il vento dei tempi arriva ovunque; anche in Congo. Soffia soprattutto nella città. La città di Lubumbashi è grande e caotica e, seppur nelle differenze, porta con se le tipiche contraddizioni e psicosi di una qualsiasi metropoli. Tuttavia è ancora possibile stupirsi e ridere di gusto (quando lo facciamo evidentemente abbiamo imboccato una strada giusta). Prendere parte a un matrimonio congolese non è una esperienza sconvolgente, ma se ascolti bene e guardi con attenzione rimani deliziato. Il kitch regna sovrano, soprattutto nell’ostentazione evidente di una ricchezza materiale carente, ma la gioia appare vera e il senso di partecipazione reale. Il matrimonio è una festa corale. E’ chiaro a tutti che gli sposi non sono i soli protagonisti. Può sembrare banale dire che senza invitati non si potrebbe festeggiare, ma in Congo se ne ha una percezione più densa. Poi non mancheranno di certo i commenti alla donna vestita peggio, all’uomo che beve troppo o alle acconciature più stravaganti. Però si respira un’aria di festa che mi riporta ai racconti di mio nonno sulle rare occasioni in cui in campagna si scannava il maiale. E in effetti la noia non esiste (generalmente i nostri matrimoni non si vede l’ora che finiscano), il divertimento è assoluto e la pista non è mai vuota. Gli addobbi con carta igienica e le birre contate (il denaro è poco) aiutano ad entrare in un’ottica diversa. I riti hanno un valore che sembra sempre più dimenticato nel nostro splendido e povero occidente. Non per forza un valore etico o “spirituale”, più che altro un valore materiale. L’occasione che il rito concede alla comunità. L’occasione di stare insieme e di mangiare carne. Carne di maiale, di capra, riso, salse, spiedini di animali non del tutto identificati. Sapori che non hanno il sapore della quotidianità. Sapori ai quali in Congo nessuno si permetterebbe mai di rinunciare. E quando ricapita? Solo durante i riti, durante i matrimoni. La gente è protagonista della cerimonia. La cerimonia è soltanto un viatico. Un meraviglioso viatico. Nessuno la subisce, nessuno si fa problemi a interferire perché le grida e gli “ululati” di gioia ne sono parte integrante. E chissenefrega se le parole del sacerdote a volte non si sentono. Abbiamo riso di gusto, stupendoci dell’assoluta mancanza di quella che “noi” chiamiamo forma. Ma l’assenza della nostra forma convenzionale è presenza di forma africana. La ritualità esiste dove meno te lo aspetti. Gli sposi ballano, emozionati e stanchi. La gente si avvicina, gli urla qualcosa e attacca banconote sulla fronte sudata dello sposo. Si condivide tutto questo. Si ha chiaro in testa che senza solidarietà anche le occasioni eccezionali non potrebbero trovare il loro palco. Il palco dove far recitare gli unici attori possibili: donne e uomini.
Alessandro Di Battista