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Ben tornati!

Tutti noi abbiamo seguito un corso durato sette mesi prima di partire. Un corso importante, che ci ha insegnato e fatto conoscere molte cose, sul Congo e su quello che ci avrebbe aspettato una volta partiti.
La verità è che non si è mai preparati per un’esperienza simile. Quello che ti aspetta, quello che vedrai e vivrai è inimmaginabile.
La prima settimana ti serve per ambientarti, per realizzare che sei lì, che finalmente sei arrivato, che sotto di te stai calpestando la terra che da tanto tempo avevi solo immaginato. Ma ci vuole poco perché tu sia avvolto e travolto completamente da tutto ciò che ti circonda.
La sera torni a casa stanco perché sei stato fuori tutto il giorno, hai svolto le attività di sensibilizzazione nei villaggi o a scuola, hai giocato, corso e cantato. Hai incontrato le donne del progetto di microcredito affette dal virus dell’HIV. Queste donne sono donne coraggiose e forti perché in Africa se affermi di essere affetta dall’HIV rischi di essere isolata, emarginata o cacciata dal villaggio in cui vivi. Ma queste donne hanno deciso di farsi avanti e chiedere aiuto. Per assicurare loro una vita sufficientemente autonoma, e far si che possano vivere anche senza dipendere dal villaggio, queste donne lavorano per Amka svolgendo attività di sartoria e creando modelli che poi saranno venduti in Italia. Molte di loro arrivano con i loro bambini appena nati, legati in vita da un pezzo di pagne che li tiene stretti alla schiena delle loro madri.
Più del 90% dei casi di trasmissione del virus si verificano durante la gravidanza, nel liquido fetale della placenta, per questo il rischio che il bambino nasca malato è molto elevato. Quando però conosci quella madre che ha scelto di farsi curare da noi, che ha deciso di chiedere aiuto sconfiggendo quella parte di cultura che le vietava di uscire allo scoperto, che è stata seguita dal nostro staff locale durante tutti i nove mesi di gravidanza e che ha partorito suo figlio SANO, capisci allora che AMKA c’è, che AMKA serve, che AMKA funziona.
Ogni giorno poi c’è una tappa fissa, il primo villaggio dove ogni mattina ci fermiamo: il villaggio di Kaniaka.
In questo villaggio Amka ha costruito una scuola e un centro di salute. Appena arrivati, ci avevano avvertiti che nel centro di salute avremo trovato una bambina di appena 5 anni, di nome Debora, malnutrita e malata di tubercolosi. Di nuovo, ti avvertono, ti preparano, ma non sei mai preparato a vedere una bambina così piccola pesare 4 chili. 4 chili, come un bambino appena nato. Ci avevano anche detto che il suo era il caso più grave del centro e che poche erano le possibilità che sarebbe sopravvissuta.
È vero, ce lo avevano detto. Dovevamo essere pronti. Ma quando poi arriva il giorno in cui, come ogni mattina, ti fermi al centro di salute, ti dirigi verso la camera della piccola, entri nella stanza e il suo letto è vuoto, è lì, in quel momento che crolli. Crolli ma non piangi perché di fronte a questi dolori, il primo sentimento che provi è la rabbia. Rabbia perché non puoi fare a meno di chiederti: “Ma se Debora fosse stata ricoverata in un ospedale sarebbe sopravvissuta? E’ giusto che una bambina muoia perché la famiglia non può sostenere le cure adatte per curarla? Che mondo è un mondo che fa vivere solo chi può permetterselo?”. Mille sono le domande e i pensieri che ti assalgono in quel momento e che tutt’ora continuano a farlo.
La rabbia la provi anche quando per strada vedi da un lato del marciapiede i bambini in divisa uscire da scuola attesi fuori dai loro padri ben vestiti che ostentano il loro status sociale e dall’altro lato, proprio di fronte, vedi un bambino vestito di stracci che guarda questa scena con un cesto di uova sode che porta sul capo perché quello è il suo lavoro: vendere uova sode per strada. E magari suo padre non può permettersi di farlo andare a scuola perché il suo stipendio gli basta a mala pena per nutrirlo.
E’ in momenti come questi che capisci quanto siano importanti i tuoi compagni di viaggio.
Perché sono le uniche persone che possono capirti avendo visto e vissuto come te e insieme a te le stesse emozioni . Quando torni a Roma e racconti ai tuoi amici e parenti questa tua esperienza, ti accorgi di come in realtà ciò che riesci a trasmettere sia solo un millesimo di quanto hai provato tu, perché per capire certe emozioni, bisogna viverle.
Ho conosciuto persone fantastiche. Tutto lo staff di Amka è composto da persone uniche, che lavorano a contatto diretto con il dolore, tutti i giorni: Flavie, Franca, Fatì, Karil, Desi, Papa Papi, Papa Charles. A volte capita che Amka non riesca a pagare in tempo gli stipendi di alcuni di loro ma nonostante ciò, loro lavorano continuamente con dedizione. Sono loro che durante tutto l’anno portano avanti i nostri progetti, aspettando che in estate arrivino i volontari per aiutarli.
Parti pensando che andrai lì per dare qualcosa alle persone che incontrerai, per dare loro una mano, anche se piccola e limitata. Torni sapendo che quello che ti hanno dato loro è infinitamente più grande e importante perché ti hanno dato coscienza.
Ecco, Amka è una grande famiglia, come dicono loro, e noi volontari siamo tutti loro fratelli, non amici, ma fratelli. Passi con loro venti giorni, ci lavori, ci parli, ci scherzi, ci discuti, ti confronti. E nonostante tu sia lontano da casa, dalle tue abitudini, dai tuoi affetti, è come se non ti mancasse niente, perché lì hai trovato tutto quello di cui avevi bisogno.
Il fatto che in casa non ci sia corrente, né acqua, né gas, passa in secondo piano e anzi, ti rendi conto che di queste cose puoi farne benissimo a meno perché lì capisci quanto davvero le cose importanti della vita siano altre. E infatti questo è il rischio una volta tornati a casa: tendere a sminuire le cose che una volta credevi importanti, per le quali in passato hai speso tempo ed energie e che ora ti accorgi di quanto trascurabili fossero. Ed è un rischio perché magari per persone, tuoi amici, che non hanno vissuto l’esperienza che hai vissuto tu, continuano ad essere cose importanti e magari capita che tu non capisca la loro posizione e loro la tua. E questo accade perché dopo aver visto certe cose, è difficile continuare a vivere come se non esistessero. Quello che chiedi è di essere capito e a volte anche sopportato.
Perché è questo l’effetto che ha su di te un viaggio simile: cambia il tuo modo di vedere e vivere le cose.
Quando torni da un viaggio come questo, pensi di più. Hai visto cose che inevitabilmente ti rimarranno dentro per sempre perché ti hanno segnato, hanno lasciato un’impronta dentro di te. Da un viaggio come questo torni cresciuto e soprattutto torni più consapevole di ciò che ti circonda, di ciò che esiste anche lontano da te, dalla tua routine quotidiana e che accade ogni giorno. Io per rendermene conto veramente, sono dovuta andare fin lì e se potessi, ci tornerei subito.
Noemi Marà

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