Giulia è una giovane e appassionata nutrizionista. Conosce molto bene il tema della malnutrizione, ha…
Una giornata di Congo da volontario…
La giornata è scandita da passi noti e tempi ignoti, sempre salvo imprevisti. Prima tappa alla Clinica Universitaria, dove Francine, la capostruttura di Amka Katanga,smista l’equipe ed i cooperanti per le attività e villaggi secondo necessità.
Si gioca poi a Tetris nella jeep, ovviamente giustapponendo busti arti e spalle: 10, 12, 13 persone; si entra in tanti quanti dobbiamo essere con vaccini, secchi di pittura, palloni, medicine e qualunque cosa serva per la giornata…il concetto di omologazione dell’auto in Congo è vago in sé e lasciato all’interpretazione sia della polizia locale che della capacità “negoziale” dei passeggeri.
Passaggio al casello, assaltati dai venditori d’acqua che ben conoscono questa jeep, forse l’unica che passa carica di bianchi su questa strada che va al sud verso lo Zambia, rotta di trasporti pesanti di ogni genere. Poi Kanyaka, questo nome che fino a ieri l’altro a me nulla diceva, ora rappresenta l’avamposto operativo di Amka con centro sanitario e scuola, base logistica per il supporto a tutti i villaggi. Breve sosta, saluti, bambini, e via su strade di terra rossa ove stare in 13 in jeep non è solo uno sforzo per il motore ma per le articolazioni e le ossa. Per fortuna la Jeep si svuota progressivamente man mano che i team scendono nei villaggi di destinazione.
Oggi a me tocca il più lontano, Mikongo, dove l’equipe si reca una volta al mese per la “Sensibilizzazione Sanitaria”. Arriviamo alle 12.30, quattro ore tra viaggi un guado che richiede almeno mezzo chilo di frizione, soste, chiacchiere e tante buche di questa Brousse impertinente. Nel team Justine il capo progetto sanitario, Michel il medico e la zavorra di noi quattro cooperanti.
Primo atto è radunare il villaggio, con il megafono e con il porta a porta, aiutati dal “Relais” il referente di Amka nel villaggio, una signora con berretto da cantante soul. All’ombra di un boschetto compaiono miracolosamente sei sedie di plastica (ovviamente sono per noi), poi poco a poco giungono bambini e mamme che si siedono su sgabelli,tronchi mattoni. Il clima è gradevole c’è venticello ed oggi è facile per me immergermi nella dilatazione dei tempi africani pensando chissà perché all’ombra delle querce di Mamre dove la genesi racconta di Abramo visitato da Dio nella forma dei tre viandanti. Justine con tatto e pazienza spiega; cosa spiega? Di andare al centro sanitario o dal dottore o all’ospedale se si sta male, di non affidarsi né comprare medicine da ciarlatani (e fin qui se leggete Silone o Carlo Levi trovate che 70 anni fa certe zone d’Italia avevano bisogno delle stesse raccomandazioni), ricorda i servizi offerti da Amka, una volta al mese la consultazione gratis il centro sanitario etc. Poi il discorso vira secco e più breve sulla prevenzione della malaria, sulla prevenzione dell’HIV. Siete sensibilizzati? Chiede a ripetizione Justine con tatto deciso e molta pazienza in uno swahili disseminato di rade parole francesi.
Poi parte la pesa dei bambini, primo passo del monitoraggio dei casi di malnutrizione e la Consultazione sanitaria cui io e Margherita (20 anni) siamo destinati al seguito di Michel. Silenziosamente si mettono in fila sedute a distanza dal nostro terzetto tutti i pazienti, prima le donne, poi man mano che rientrano dai campi anche gli uomini. Michel fa un “interrogatoire” (in swahili) noi misuriamo la pressione (io che non distinguo un mal di gola dalle emorroidi!) ed ascoltiamo(!!) anche grazie a qualche spiegazione di Michel in francese. Passano ore, le “querce” di Mamre sono sempre lì. Sfilano corpi storie e volti, aggrinziti, rovinati o talvolta muscolosi, trasandati o ben vestiti, spesso ma non sempre più vecchi dell’età anagrafica (che molti non sanno con precisione). Si siedono parlano, poco, ascoltano e ci lasciano. Si presenta un catalogo di potenziali malattie tropicali sintomi di malaria, ameba altri batteri febbri lombalgie mal di testa. Prepariamo dei foglietti su cui Michel prescrive analisi da fare a Kanyaka (che dista in jeep 25 km, ma meno per i sentieri della Brousse) e visite, distribuisce a prezzo simbolico medicine, quando non ne ha scrive prescrizioni.
Alla fine sono 16 visite, 12 donne, 3 uomini un bambino. Circa 13 implicano richieste di analisi di sangue e feci, quasi sempre è richiesta l’analisi della malaria. Sono convocati per due giorni dopo a Kanyaka: quanti si ripresenteranno?
E’ tardi, dobbiamo ripartire, ma Justine ci dice il “relais” ci ha invitato a mangiare il boukari (una palla di cereali che si manipola e si “puccia”) con Tilapia pesce d’acqua dolce pescato chissà dove. Noi 4 bianchi ci guardiamo timorosi mentre ci laviamo in 7 le mani in un piccolo catino temendo conseguenti fulminanti sul nostro stato di salute futuro ma non possiamo tirarci indietro…e sia: boukari con Tilapia cucinato con chissà che acqua mentre la generosa padrona di casa seduta con sua figlia a distanza da noi ci osserva contenta mangiare. Ripartiamo e per strada raccattiamo i colleghi che hanno sperimentato oggi altre storie ed altre emozioni, così la jeep si riempie e ricominciano i dolori del Tetris umano.
Atterriamo a Kanaka che è buio, un caso grave attende il dottore…e il sorprendente ritmo africano richiede a tutti gli straordinari.
Via di nuovo lentamente nel il buio dello stradone asfaltato fino alla barriera, fino al traffico cittadino che malauguratamente a questa ora già buia pesta (anche se sono solo le 19.00) ruggisce senza riguardi per il nostro stato.
Infine arriviamo alla casa-ufficio di Amka, impiastricciati di polvere rossa, sudore e stanchezza. Stasera manca la luce, l’acqua non c’è o meglio c’è ma solo in un rubinetto in giardino. Dobbiamo lavarci comprare acqua da bere e carbone, cucinare. Max 120 kg di cuore attacca la musica dal suo Iphone.
Anche per oggi non abbiamo salvato nessuno ma non abbiamo fatto danni. Stasera siamo tutti di buon umore
Pierfrancesco
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