Giulia è una giovane e appassionata nutrizionista. Conosce molto bene il tema della malnutrizione, ha…
E' ora di presentare il progetto alla Comunità
Siamo i primi ad arrivare davanti al capannone dove si deve svolgere la riunione dei soci della cooperativa, è buio, quasi non si legge la grande scritta sulla parete con la frase di Allende “Ser jovenes y no ser revolucionario es una contradicion biologica”; ci sediamo sul muretto che circonda il grande albero “simbolo” della comunità, e aspettiamo.
Piano piano iniziano ad arrivare le prime persone, si siedono anche loro e si godono il fresco serale di una calda giornata di sole. Piano piano lo spiazzo si riempie, le stelle iniziano a comparire nel cielo e di chi ha la chiave del capannone neanche l’ombra.
Dopo una buona mezz’ora di chiacchiere allegre, di prese in giro e di bambini che corricchiano qua e là ci si inizia a preoccupare di chi potrebbe avere la chiave, qualche domanda in giro che non trova risposta e poi la richiesta al megafono. Arriva la chiave, si entra, si prende una sedia dalla pila e ci si siede.
Veniamo presentati, ci alziamo e ci mettiamo di fronte ad un centinaio tra donne, uomini e qualche bambino.Vediamo davanti a noi facce segnate dal sole, dal lavoro nei campi, da lunghi anni di guerriglia passanti nella selva. “Buenas noches a todos..” e per un momento mancano le parole, ripenso a questi primi tre giorni di lavoro.
Il primo giorno è stato entusiasmante, abbiamo fatto il primo ciclo tra la curiosità delle persone che passavano per la “tienda” (piccolo negozio comunitario dove si vende un po’ tutto quello che serve), salivano sopra una cassa e si sporgevano per guardare il funzionamento della macchina, poi si giravano verso di noi: “Funziona, si sente che è cloro!”. A fine giornata, di cloro nel serbatoio non ce ne era traccia e qualcheduno se ne era dovuto anche andare a mani vuote, lasciando lì la bottiglia che si era portato appresso, in attesa del prossimo ciclo.
E noi, soddisfatti, la sera ci siamo goduti una birra bella fresca, tra chiacchiere varie e qualcuno che ci veniva a dire che aveva provato il cloro e le magliette, a parte una macchia di mango che proprio non se ne era voluta andare, erano venute su belle pulite.
Gli ultimi due giorni sono stati meno soddisfacenti. Ieri faceva molto caldo e questo ha influito negativamente sul processo di produzione del cloro; alla fine si è pure bruciato l’adattatore da spina italiana ad americana, e pensare che a fine ciclo avevamo già deciso di cambiarla, doveva solo resistere un’altra mezz’ora, ma tant’è che abbiamo dovuto dire addio all’unico adattatore che avevamo.
La giornata di oggi l’abbiamo passata nella cittadina più vicina in cerca di due grossi tubi di circa un metro ciascuno per un sistema di refrigerazione, scontrandoci con l’impossibilità di acquistare il singolo pezzo con una lunghezza inferiore a 10 metri l’uno e il relativo costo fuori budget.
Poi le parole sono venute su senza problemi, in uno spagnolo quasi fluente e con ampio uso dei tempi verbali (pubblicità neanche troppo occulta al nostro Professore di spagnolo A. Di Battista). Ed eccoci a spiegare il funzionamento della “Fabrica de producion de cloro”, come dicono qui.
Questa consiste in un tubo alto poco più di un metro e con un diametro di 25 centimetri che si riempie con 50 litri di una soluzione di acqua e sale. Dentro ci si mette una cella elettrolitica che utilizzando energia elettrica fa avvenire una reazione chimica trasformando il cloruro di sodio e ottenendo ipoclorito di sodio, lo stesso che si trova nella varechina, insomma il più comune disinfettante, utilizzato per tutto, dal lavare i vestiti a pulire il pavimento.
“Gracias a todos por l’atencion”. Applauso. Tanta voglia di riniziare a lavorare domani dopo una lauta colazione con fagioli e le immancabili tortillas.
Luca
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